19 ottobre 2015

Cass. Civ. S.U., 26/05/2015 - 05/10/2015, n. 19785

"Leasing e vizi del bene: sui rimedi esperibili dall'utilizzatore, e sulla clausola generale di buona fede che impone alla società di leasing di agire per la risoluzione del contratto di fornitura o per la riduzione del prezzo di compravendita"


Svolgimento del processo - Motivi della decisione

1 - Il processo.

La S. & R. s.r.l. citò in giudizio la Car Diesel s.p.a., chiedendo la risoluzione, per inadempimento di quest'ultima, del contratto di fornitura di un autocarro collegato ad un contratto di leasing stipulato con Austria Finanza s.p.a.; autocarro poi risultato privo di una qualità essenziale, in quanto strutturalmente inidoneo ad ottenere l'autorizzazione ADR e la conseguente omologazione da parte del Ministero dei Trasporti. Chiese, altresì, la condanna della società convenuta al risarcimento dei danni o, quantomeno, alla riduzione del prezzo di compravendita.

Nella costituzione in giudizio di Car Diesel s.p.a. e previa riunione di questa causa ad altra da quest'ultima introdotta nei confronti della Marciar s.n.c. di C. E. & C., alla quale era stato dato incarico di allestire ed adeguare l'autocarro in vista dell'ottenimento della suddetta autorizzazione ministeriale, intervenne là sentenza con la quale il tribunale di Verona:

dichiarò la risoluzione del contratto di fornitura per fatto e colpa della venditrice Car Diesel s.p.a.; condannò quest'ultima alla restituzione di quanto percepito nella vendita; respinse la domanda risarcitoria.

Interposto gravame da parte della Car Diesel s.p.a., la corte di appello di Venezia, in riforma della sentenza di primo grado, dichiarò la carenza di legittimazione attiva della S. &

R. s.r.l., con conseguente rigetto di tutte le domande da questa proposte.

Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione S. s.r.l. (già S. & R. s.r.l.) sulla base di un unico motivo. Resiste con controricorso la Car Diesel s.p.a. S. ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c.. Nessuna attività difensiva è stata svolta dalla Marciar s.n.c..

La terza sezione civile di questa Corte, ritenuto che la causa pone una questione di massima di particolare importanza, ha rimesso gli atti al Primo Presidente per l'eventuale assegnazione alle Sezioni Unite. Il Primo Presidente ha così disposto.

2- Il motivo di ricorso.

Con l'unico motivo di ricorso S. s.r.l. deduce, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), violazione e falsa applicazione dell'art. 1705 c.c., e delle disposizioni che presiedono all'interpretazione dei negozi giuridici ex art. 1362 c.p.c. e segg.. La corte di appello avrebbe erroneamente affermato la carenza della sua legittimazione attiva alla risoluzione della vendita sull'erroneo presupposto che l'esercizio diretto dell'azione contrattuale da parte dell'utilizzatore del bene in leasing nei confronti del fornitore, non derivando da una previsione generale di legge, sia ammissibile solo in presenza di specifica clausola contrattuale, nella specie inesistente.

A corredo del motivo viene formulato, ex art. 366 bis c.p.c. (qui applicabile ratione temporis), il seguente quesito di diritto: "se vi è stata violazione e falsa applicazione dell'art. 1705 c.c., e dei criteri che presiedono all'interpretazione dei negozi giuridici in virtù dei quali nel contratto di locazione finanziaria all'utilizzatore è riconosciuta, quale effetto naturale connaturato all'operazione di locazione finanziaria stessa, una tutela diretta verso il fornitore per i vizi della cosa anche in assenza di specifiche clausole contrattuali, avendo ritenuto nel caso di specie la corte di appello di Venezia, nonostante la pacifica e documentata sussistenza della locazione finanziaria, il difetto di legittimazione attiva dell'utilizzatore, sul presupposto che la stessa dovesse avere la propria fonte in un patto contrattuale non rinvenuto agli atti del giudizio; dovendosi invece dichiarare sussistente la legittimazione attiva dell'odierna ricorrente quale utilizzatore nel contratto di locazione finanziaria intercorrente con la Car Diesel, con ogni conseguenza di legge".

3 -L'ordinanza di rimessione.

Con ordinanza interlocutoria del 4 agosto 2014, n. 17597, la Terza Sezione Civile di questa Corte ha chiesto l'intervento chiarificatore delle Sezioni Unite in ordine alla questione di massima di particolare importanza, concernente - con riguardo ai presupposti sostanziali e processuali di applicazione dell'art. 1705 c.c., comma 2, alla locazione finanziaria - le azioni direttamente proponibili dall'utilizzatore nei confronti del venditore e, segnatamente, quella di risoluzione della vendita per inadempimento di quest'ultimo.

Ha osservato il collegio che tale questione non può prescindere dalla considerazione della natura e della struttura del contratto di locazione finanziaria.

In particolare, sotto il profilo della causa contrattuale, viene evidenziato che il conseguimento del bene nella disponibilità dell'utilizzatore è reso possibile dall'intervento del concedente;

il quale, peraltro, esaurisce il proprio ruolo nel fornire il supporto finanziario necessario all'acquisto, restando sostanzialmente indifferente allo svolgimento della relazione materiale con il bene, sebbene ne sia divenuto formalmente proprietario. Ed, infatti, il concedente: non intrattiene rapporti con il fornitore diversi da quelli necessari a formalizzare l'acquisto, nemmeno nella fase della trattativa (occupandosi direttamente l'utilizzatore della scelta del bene da acquistare); non assume i rischi riconducibili a vario titolo al rapporto con la cosa (deterioramento, sottrazione, perimento, vizi, difetti funzionali, inidoneità all'uso previsto, mancata o incompleta consegna).

Insomma, il concedente sostiene finanziariamente un'operazione che è definita da soggetti diversi nei suoi aspetti essenziali.

Sotto il profilo della struttura del contratto, poi, l'ordinanza ritiene ormai superata la ricostruzione del leasing in termini di contratto unitario plurilaterale, preferendo dottrina e giurisprudenza fare riferimento alla figura del collegamento negoziale tra compravendita e locazione finanziaria. Tale ricostruzione, che non mette in discussione la causa unitaria dell'operazione economica, condurrebbe ad ammettere l'azione diretta dell'utilizzatore nei confronti del fornitore, seppure in presenza di alcuni presupposti e limiti, non sempre univocamente determinati, riconducibili al mandato senza rappresentanza di cui all'art. 1705 c.c., comma 2, laddove l'utilizzatore assume la veste di mandante, il concedente quella di mandatario (compiendo un'attività giuridica per conto dell'utilizzatore senza spenderne il nome) ed il fornitore quella del terzo.

Sostiene, pertanto, l'ordinanza che:

a) l'operazione economica che interviene tra concedente, utilizzatore e fornitore non da luogo ad un contratto plurilaterale, ma ad un collegamento negoziale tra un contratto di compravendita ed un contratto di locazione finanziaria, per effetto del quale l'utilizzatore è legittimato ad esercitare in nome proprio le azioni scaturenti dal contratto di fornitura. Con la conseguenza che la clausola derogativa della competenza, contenuta nel contratto di vendita ed espressamente approvata per iscritto dalle parti di quel contratto, deve ritenersi operante anche nei confronti dell'utilizzatore, in quanto clausola di trasferimento, facente parte del contratto dal quale l'utilizzatore deriva il suo potere di azione;

b) "in caso di leasing finanziario - atteso che con la conclusione del contratto di fornitura viene a realizzarsi nei confronti del terzo contraente quella stessa scissione di posizioni che sì ha per i contratti conclusi dal mandatario senza rappresentanza (sicchè ai sensi dell'art. 1705 c.c., comma 2, il mandante ha diritto di far propri di fronte ai terzi in via diretta e non in via surrogatoria i diritti di credito sorti in testa al mandatario, assumendo l'esecuzione dell'affare, a condizione che egli non pregiudichi i diritti spettanti al mandatario in base al contratto concluso, potendo il mandante peraltro esercitare in confronto del terzo le azioni derivanti dal contratto stipulato dal mandatario volte ad ottenerne l'adempimento od il risarcimento del danno in caso di inadempimento) - l'utilizzatore è legittimato a far valere la pretesa all'adempimento del contratto di fornitura, oltre che al risarcimento del danno conseguentemente sofferto" (in questo senso Cass. 27 luglio 2006, n. 17145), nonchè ancora all'accertamento dell'esatto corrispettivo spettante al fornitore;

c) l'utilizzatore non è, invece, normalmente legittimato all'azione di risoluzione del contratto di vendita tra il fornitore e la società di leasing, salva la presenza di una specifica clausola contrattuale che trasferisca in capo all'utilizzatore la posizione sostanziale spettante al concedente. Legittimazione, peraltro, riconosciuta da alcune sentenze, le quali, facendosi carico del pregiudizio che la risoluzione del contratto di vendita potrebbe arrecare al concedente, configurano, a tutela di quest'ultimo e a garanzia della utilità della sentenza medesima, una fattispecie di litisconsorzio necessario che ne permetta la partecipazione al giudizio; litisconsorzio esteso anche all'azione di riduzione del prezzo della fornitura.

L'ordinanza interlocutoria richiama, poi, la L. 14 luglio 1993, n. 259, di ratifica ed esecuzione della Convenzione Unidroit sul leasing finanziario internazionale stipulata ad Ottawa il 28 maggio 1988.

L'art. 10, della menzionata legge - non applicabile nel caso all'esame della Corte ma pur sempre utile a fini interpretativi - stabilisce che gli obblighi del fornitore derivanti dal contratto di fornitura possono essere fatti valere anche dall'utilizzatore, pur non essendo quest'ultimo parte del contratto, anche se per l'annullamento o per la risoluzione del contratto di fornitura occorre in ogni caso il consenso del concedente. Il tutto, peraltro, nel quadro di una disciplina informata ad una maggiore tutela dell'utilizzatore nei confronti del concedente, laddove per il diritto interno è preclusa la possibilità di ottenere la risoluzione del contratto di leasing per questioni inerenti alla cosa, nonchè la possibilità di far valere nei confronti del concedente l'inadempimento del fornitore.

Si afferma, altresì, che qualsiasi soluzione interpretativa non può prescindere dalle conclusioni raggiunte da Sez. U, 8 ottobre 2008, n. 24772, secondo la quale "l'espressione diritti di credito derivanti dall'esecuzione del mandato (art. 1705 c.c., comma 2), che accorda al mandante pretese dirette nei confronti del terzo contraente, va circoscritta ali 'esercizio dei diritti sostanziali acquistati dal mandatario, rimanendo escluse le azioni poste a loro tutela (annullamento, risoluzione, rescissione, risarcimento del danno)". Si tratta, beninteso, di una decisione non emessa in materia di leasing ma di portata generale, affrontandosi tutti gli aspetti della legittimazione sostitutiva del mandante, così come desumibili dall'art. 1705 c.c., comma 2, norma ritenuta ormai costituente "Il passaggio obbligato comunemente invocato per normativamente giustificare e definire, anche nella locazione finanziaria, le azioni contrattuali esperibili in via diretta dall'utilizzatore".

Il collegio della terza sezione, peraltro, dubita che il decisum di Sez. U, n. 24772/2008, con riferimento all'attribuzione al mandante dei diritti ma non delle azioni, possa essere trasposto sic et simpliciter in materia di leasing in quanto significherebbe negare la peculiarità di tale istituto e la stessa sua perfetta sussumibilità sotto la disciplina del mandato senza rappresentanza. Ed, invero:

a) con riferimento all'art. 1705 c.c., comma 2, l'utilizzatore, a differenza del mandante, ha un rapporto diretto con il fornitore (terzo nel rapporto di mandato), gestendo in prima persona, fin dall'inizio, il rapporto di fornitura e stabilendone discrezionalmente le condizioni;

b) con riferimento all'art. 1706 c.c., il regime degli acquisti del mandatario poco o nulla si attaglia alla locazione finanziaria, nella quale il passaggio delle cose alla proprietà del mandante non avviene (se avviene) per rivendica (cose mobili) o per obbligo di ritrasferimento (immobili e mobili registrati), ma per esercizio del riscatto;

c) la ratio ispiratrice di Sez. U, n. 24772/2008 è volta alla tutela del terzo: "ciò che osta all'accoglimento della tesi ammissiva della legittimazione diretta da parte del soggetto, il mandante, che pure ha acquisito i diritti negoziali e ne può fruire in guanto titolare sostanziale, è la preclusione a configurare nella specie in pregiudizio del terzo ed in violazione dell'articolo 1406 del codice civile - una cessione al mandante dell'intera posizione contrattuale formalmente costituitasi in capo al mandatario (...) senza consenso del contraente ceduto. Orbene, si tratta di un ostacolo che, nella locazione finanziaria, non sembra abbia ragione di esistere; dal momento che in essa il rapporto (ancorchè non unitario) viene purtuttavia ad instaurarsi ed a svolgersi nella piena consapevolezza e volontà di tutti e tre i contraenti; certamente incluso il venditore. Sicchè non vi sarebbe motivo di parlare di cessione contrattuale senza consenso del contraente ceduto, ma soltanto di esposizione del terzo (anche senza una specifica previsione pattizia) ad una legittimazione non soltanto non aliena, ma addirittura coessenziale al contratto da lui stipulato".

L'ordinanza di rimessione osserva, altresì, che Sez. U, n. 24772/2008 non stabiliscono una regola assoluta, ma un semplice rapporto regola - eccezione, ragion per cui sarebbe sempre possibile far rientrare il leasing tra le ipotesi in cui la legge riconosce eccezionalmente all'utilizzatore - mandante la legittimazione sostanziale e processuale. Tuttavia, resterebbe il problema di stabilire quali sono le azioni che spettano all'utilizzatore e, segnatamente, se gli spetta l'azione di risoluzione, che potrebbe essere pregiudizievole per il mandatario-concedente.

In realtà, sembra necessario al collegio della terza sezione contemperare, quale naturale conseguenza del collegamento negoziale, le diverse esigenze di tutela del concedente e dell'utilizzatore, pressappoco come avvenuto nel caso limitrofo del collegamento negoziale tra compravendita e mutuo di scopo, in cui è stato riconosciuto che, in caso di risoluzione del contratto di vendita per fatto imputabile al venditore, l'obbligo di restituzione al mutuante della somma ricevuta grava sul venditore e non sul mutuatario; e ciò in relazione al venir meno, in tale evenienza, dello scopo del contratto di mutuo. Allo stesso modo, lo scioglimento della vendita potrebbe comportare Io scioglimento della locazione finanziaria se fosse valorizzata la funzione economica non solo finanziaria, ma anche di scambio insita nel collegamento negoziale tra contratto di fornitura e leasing. Infine, viene evidenziato che la soluzione del litisconsorzio necessario con il concedente, affermata in alcune pronunce al fine di ammettere la risoluzione ad istanza dell'utilizzatore, non è soddisfacente, perchè "la sola partecipazione alla lite del concedente (quand'anche la si ritenesse necessaria) nulla sarebbe in grado di dire sui diritti contrattuali che, nel processo così soggettivamente esteso, possono trovare deduzione e riconoscimento".

In tale situazione di incertezza interpretativa, è richiesto, pertanto, un intervento chiarificatore delle Sezioni Unite.

4 - La questione sottoposta alle Sezioni Unite - Premesse.

La questione sottoposta alle Sezioni Unite può essere, dunque, così sintetizzata: se, in caso di leasing finanziario, l'utilizzatore sia legittimato - oltre che a far valere la pretesa all'adempimento del contratto di fornitura e al risarcimento del danno conseguentemente sofferto - anche a proporre domanda di risoluzione del contratto di vendita tra il fornitore e la società di leasing, come effetto naturale del contratto di locazione finanziaria, oppure se tale legittimazione sussista solamente in presenza di specifica clausola contrattuale con la quale venga trasferita la posizione sostanziale, del concedente all'utilizzatore.

Prima di procedere alla soluzione della questione occorre svolgere alcune premesse.

Vanno dati per acquisiti una serie di concetti, nozioni e definizioni consolidatisi intorno al contratto del quale si discute, che, benchè atipico rispetto a quelli previsti dal codice civile, ha ormai trovato, nelle sue molteplici versioni, unanime definizione dottrinaria e giurisprudenziale, nonchè ripetuti riconoscimenti normativi. Va, dunque, ristretta la trattazione nei limiti del quesito posto alle Sezioni Unite e delle perplessità avanzate dall'ordinanza di rimessione rispetto ad un preponderante quadro dottrinario e giurisprudenziale che, come si vedrà in seguito (e come la stessa ordinanza ammette), non solo ha da tempo negato alla vicenda la natura di negozio plurilaterale ma, ravvisando un'ipotesi di collegamento negoziale (tra la vendita e la locazione), ha escluso che l'utilizzatore possa sperimentare verso il fornitore l'azione di risoluzione e quella di riduzione del prezzo.

Altrettanto occorre premettere che, come meglio si spiegherà, la prassi mercantile ha di fatto risolto il problema attraverso la frequente stipulazione di atti ai quali partecipano le tre parti (soprattutto nel leasing immobiliare), oppure attraverso clausole contenute nel contratto di locazione con le quali il concedente trasferisce all'utilizzatore tutti i diritti e le correlate azioni che egli potrebbe sperimentare verso il fornitore.

5 - Le azioni esperibili dall'utilizzatore in ipotesi di inadempimento del fornitore - Il risalente quadro giurisprudenziale.

La chiave di volta della questione risiede nella configurazione strutturale del contratto del quale si discute, posto che, se lo si ravvisa come contratto unitario plurilaterale, è agevole farne discendere l'esperibilità dell'azione di risoluzione da parte dell'utilizzatore contro il fornitore, posto che quest'ultimo è considerato anch'egli parte del contratto di compravendita. Il problema si pone, invece, se l'interprete tiene ben distinti, nella vicenda, il contratto di vendita (tra fornitore/venditore e concedente/acquirente) e contratto di locazione (tra concedente/proprietario/locatore della cosa ed utilizzatore/locatario della stessa), pur riconoscendo l'indiscutibile collegamento esistente tra i due.

In questa seconda ipotesi, il contratto di vendita è, per l'utilizzatore, negozio stipulato tra terzi (res inter alios acta) rispetto al quale egli non ha alcun potere d'incidenza; restando, comunque, da verificare se il riconosciuto collegamento negoziale conceda all'utilizzatore (come sostiene il ricorso in esame e pone in chiave problematica l'ordinanza interlocutoria) quel potere, compresa l'esperibilità da parte sua dell'azione di risoluzione del contratto di vendita, al quale egli non ha partecipato.

Come s'è già visto in precedenza, una risalente giurisprudenza, proprio per risolvere positivamente il problema, tendeva a configurare la locazione finanziaria come un rapporto trilaterale, in cui l'acquisto ad opera del concedente va effettuato per conto dell'utilizzatore, con la previsione, quale elemento naturale del negozio, dell'esonero del primo da ogni responsabilità in ordine alle condizioni del bene acquistato per l'utilizzatore, essendo quest'ultimo a prendere contatti con il fornitore, a scegliere il bene che sarà oggetto del contratto e a stabilire le condizioni di acquisto del concedente, il quale non assume direttamente l'obbligo della consegna, nè garantisce che il bene sia immune da vizi e che presenti le qualità promesse, nè rimane tenuto alla garanzia per evizione (in tal senso, Cass. n. 4367/97, n. 6076/95, n. 5571/91).

Così ragionando, si evitava di lasciare l'utilizzatore senza tutela, essendo comunque "abilitato ad esperire direttamente le azioni derivanti dalla compravendita del bene nei confronti del fornitore" (in questo senso si esprimeva la già citata Cass. n. 4367/97);

azioni giustificate proprio dalla struttura trilaterale del rapporto e dal fatto che è l'utilizzatore (e non il concedente/proprietario, che si è limitato a finanziare l'operazione) ad avere intrattenuto rapporti diretti con il fornitore del bene oggetto del contratto.

Più in particolare, Cass. n. 854/00, ponendosi appunto nell'ottica del contratto di leasing come contratto plurilaterale, osservava che, poichè la prestazione del fornitore va ritenuta essenziale nell'economia dell'affare ai sensi dell'art. 1459 c.c., non v'è possibilità da parte dell'utilizzatore di chiedere la risoluzione del contratto di fornitura per inadempimento del fornitore senza che venga coinvolto anche il concedente. Invero, "la locazione finanziaria dà luogo ad un'operazione giuridica unitaria, nella quale ognuno dei contraenti è consapevole di concludere un accordo con le altre parti interessate dall'affare; ciascun contraente assume volontariamente obblighi nei confronti delle altre due parti; il fornitore si obbliga, nei confronti del concedente, a trasferirgli la proprietà e, nei confronti dell'utilizzatore, a consegnargli il bene e a dargli le garanzie della vendita; il concedente si obbliga a pagare il prezzo del bene al fornitore e a consentirne il godimento ali 'utilizzatore; questi a sua volta si obbliga a rimborsare al concedente con gli interessi e le spese il finanziamento ottenuto.

Nascono vincoli obbligatori incrociati tra loro nei quali la prestazione del fornitore è essenziale nell'economia del contratto, perchè è quella che soddisfa l'interesse di entrambe le altre, oltre che quello dello stesso fornitore a ricevere il prezzo; se essa viene meno, il contratto si scioglie rispetto a tutte le altre parti.

La risoluzione del rapporto di compravendita chiesta ed ottenuta autonomamente dall'utilizzatore il quale consegua la restituzione del prezzo e il risarcimento del danno pregiudicherebbe la condizione del concedente; questi oltre ad essere privato della garanzia rappresentata dalla proprietà del bene rischierebbe anche di non ricevere i canoni essendo venuta meno con la cessazione del godimento del bene la causa della contrapposta obbligazione dell'utilizzatore di pagare i canoni". Di qui la necessità della partecipazione al giudizio di risoluzione del concedente, che la sentenza riteneva rispondere all'esigenza avvertita anche dal legislatore, allorquando, con l'art. 10 della legge n. 259/1993, recependo la Convenzione Unidroit sul leasing internazionale, ha stabilito che l'utilizzatore, pur potendo agire direttamente nei riguardi del fornitore per l'adempimento del contratto di fornitura (comma 1), non può chiederne tuttavia la risoluzione senza il consenso del concedente (secondo comma).

Questa sorta di litisconsorzio necessario nei confronti del concedente (nell'azione di risoluzione direttamente introdotta dall'utilizzatore contro il fornitore) sembrava, a siffatta giurisprudenza, un espediente capace di rimediare alla stridente anomalia dell'azione risolutiva concessa a chi non è stato parte del contratto da risolvere e che, nel suo esito positivo, necessariamente comporta la perdita in danno del concedente/proprietario/locatore non solo della proprietà (garanzia rispetto all'utilizzatore) ma anche dei canoni derivanti dalla locazione (sulla stregua di quest'orientamento si vedano anche Cass. n. 5125/04 e n. 11776/06).

6 - Segue - L'evoluzione giurisprudenziale.

La tesi del contratto unitario plurilaterale è stata, però, ben presto abbandonata dalla giurisprudenza a seguito della decisa critica della dottrina, iniziandosi a ricostruire, in accordo con questa, la struttura del contratto di leasing come ipotesi di collegamento negoziale. Secondo quest'idea, l'operazione di leasing finanziario consta di due contratti collegati tra loro: quello di leasing propriamente detto e quello di fornitura. "Questo collegamento, consistente in ciò che il contratto di fornitura, nel complesso dell'operazione, ha la funzione di mezzo per l'esecuzione di quello di leasing, risulta da più indici: la struttura del procedimento di formazione negoziale, in cui intervengono in varia sequenza le tre parti; la sussunzione, a contenuto del contratto di fornitura, di elementi individuati insieme dal fornitore e dell'utilizzatore; la circostanza che i contratti, di fornitura come di leasing, esplicitino, per solito, come ragione dell'acquisto del bene da parte del concedente sia la sua concessione in godimento all'utilizzatore che lo ha scelto, sia la previsione, contenuta nel contratto di fornitura, che la consegna del bene dovrà farsi dal fornitore direttamente all'utilizzatore" (così motiva Cass. n. 10926/98 e le fanno seguito Cass. n. 15762/00, n. 5125/04, n. 19657/04, n. 6728/05, n. 20592/07).

In altri termini, il leasing finanziario "realizza un'ipotesi di collegamento negoziale tra contratto di leasing e contratto di fornitura, quest'ultimo venendo dalla società di leasing concluso allo scopo, noto al fornitore, di soddisfare l'interesse del futuro utilizzatore ad acquisire la disponibilità della cosa" (Cass. n. 17145/06). Ed il nesso di collegamento tra i due contratti viene normalmente in evidenza proprio "in virtù di clausole di interconnessione, per cui nel contratto di vendita tra fornitore e società di leasing viene convenuto che il bene oggetto del negozio sia acquistato allo scopo di cederlo in godimento al cliente della società (il quale in precedenza ha provveduto ad indicarlo specificamente) ed è previsto anche che il bene sia consegnato direttamente dal fornitore all'utilizzatore" (Cass. n. 16158/07, n. 9417/14).

In quest'ordine di idee, s'è fatto ricorso alla disposizione dell'art. 1705 c.c., comma 2, (il quale attribuisce al mandante il diritto, in via diretta e non in via surrogatoria, di far propri di fronte ai terzi i diritti di credito sorti in testa al mandatario, assumendo l'esecuzione dell'affare, a condizione che egli non pregiudichi i diritti spettanti al mandatario in base al contratto concluso, potendo il mandante esercitare in confronto del terzo le azioni, derivanti dal contratto concluso dal mandatario, intese ad ottenerne l'adempimento od il risarcimento del danno in caso di inadempimento) per dedurne che l'utilizzatore ha la legittimazione a far valere le azioni intese all'adempimento del contratto di fornitura ed al risarcimento del danno da inesatto adempimento (così Cass. n. 10926/98, n. 17145/06, n. 17767/05, n. 5125/04, n. 19657/04), con esplicita o talvolta implicita esclusione dell'azione di risoluzione.

Sulla base della stessa premessa normativa, si è pure aggiunto che, in assenza di diversa pattuizione, con la consegna del bene dal fornitore direttamente all'utilizzatore e la conseguente sua accettazione da parte di quest'ultimo, sorge a carico dell'utilizzatore l'obbligo di pagamento dei canoni nei confronti del concedente e non possono a lui opporsi eventuali vizi, per quanto originali, del bene locato, che devono essere fatti valere con azione di garanzia unicamente nei confronti del fornitore. Invero, costituisce elemento naturale del negozio "l'esonero dal locatore di ogni responsabilità in ordine alle condizioni del bene acquistato per l'utilizzatore, essendo quest'ultimo a prendere contatti con il fornitore, a scegliere il bene, che sarà oggetto del contratto, ed a stabilire le condizioni di acquisto per il concedente, per cui ogni vizio del bene dovrà essere fatto valere direttamente dall'utilizzatore nei confronti del fornitore, così come avviene nel caso di contratto concluso dal mandatario in nome proprio, ma per conto del mandante". Con la conseguenza che "l'utilizzatore non può far valere l'eccezione di inadempimento del fornitore, per vizio del bene locato, a norma dell'art. 1460 c.c., per rifiutare le proprie prestazioni nei confronti del concedente" (Cass. n. 19657/04).

Per effetto di questa evoluzione giurisprudenziale s'è, dunque, ammesso che l'utilizzatore possa agire contro il fornitore per l'adempimento o per il risarcimento, ma s'è escluso categoricamente che possa agire anche per la risoluzione, tenuto, appunto, conto che a questa conseguono necessariamente effetti sulla sfera giuridica del concedente, con la determinazione dell'obbligo di restituzione del bene e della perdita del lucro dell'operazione di finanziamento.

In particolare, si è sottolineato "l'emergere a tale stregua di una lacuna in merito alla disciplina applicabile al leasing finanziario in caso di risoluzione del contratto per inadempimento e in particolare relativamente ai rimedi dallo stesso utilizzatore esperibili nei confronti del fornitore. Lacuna da risolversi invero solamente caso per caso, la possibilità di esercitarsi da parte dell'utilizzatore l'azione di risoluzione del contratto di vendita tra il fornitore e la società di leasing - cui esso è estraneo - dipendendo in realtà dalla sussistenza nel contratto di leasing di uno specifico patto al riguardo" (così, Cass. n. 17145/06 e n. 534/11).

Quest'orientamento tiene a precisare (in risposta alla risalente giurisprudenza che pretendeva il litisconsorzio necessario del concedente in siffatta azione dell'utilizzatore contro il fornitore) che la questione attiene non già alla legittimazione passiva, ma alla "titolarità attiva, all'esito del previo accertamento in ordine alla previsione nel contratto di leasing di una clausola contemplante il suindicato pattizio trasferimento all'utilizzatore della posizione sostanziale originariamente propria della società di leasing acquirente"; con la conseguenza che "il relativo accertamento, soggetto ad eccezione di parte nei tempi e nei modi previsti dal codice di rito, spetta invero al giudice del merito".

Anche Cass. n. 23794/2007, che pure riconosce la legittimazione dell'utilizzatore alla domanda di accertamento dell'esatto corrispettivo, nega, benchè implicitamente, la legittimazione di quest'ultimo alla domanda di risoluzione: "(...) deve - decisamente - escludersi che la domanda di accertamento (negativo) delle maggiori pretese fatte valere in via stragiudiziale dal fornitore e, quindi, in buona sostanza, di accertamento del corrispettivo in realtà spettante a quest'ultimo, possa identificarsi in una domanda di risoluzione contrattuale".

7- La soluzione della questione.

Benchè siano ormai numerosi gli interventi legislativi diretti a definire ed a regolamentare la vicenda negoziale della quale si sta trattando e, dal canto suo, la giurisprudenza (non solo di legittimità) sia stata finora tesa a studiarlo in maniera unitaria e formalistica, l'istituto della locazione finanziaria si presenta, invece, nella pratica mercantile, sotto forme e strutture diverse, di volta in volta adattate a realizzare i concreti e disparati interessi degli operatori economici, tradotti in formulari contrattuali che hanno soltanto alcuni punti in comune ma che, abitualmente, sono diversamente forgiati secondo le concrete esigenze in campo.

E' così che nella generica denominazione di leasing si vanno a ricomprendere numerosissime figure contrattuali, ognuna avente la sua peculiarità, quali (solo per citarne alcune) il leasing traslativo e quello di godimento, il leasing operativo e quello al consumo, il leasing pubblico e quello finanziario immobiliare, il lease back e la locazione finanziaria di autoveicoli, navi ed aeromobili.

Il dato comune a tutti è che, alla base, esiste un'operazione di finanziamento tendente a consentire al c.d. utilizzatore il godimento di un bene (transitorio o finalizzato al definitivo acquisto del bene stesso) grazie all'apporto economico di un soggetto abilitato al credito (il c.d. concedente) il quale, con la propria risorsa finanziaria, consente all'utilizzatore di soddisfare un interesse che, diversamente, non avrebbe avuto la possibilità o l'utilità di realizzare, attraverso il pagamento di un canone che si compone, in parte, del costo del bene ed, in parte, degli interessi dovuti al finanziatore per l'anticipazione del capitale. Affiancata a questa v'è, necessariamente, un'altra operazione, quella tendente all'acquisto del bene del quale l'utilizzatore intende godere, ossia un'ordinaria compravendita stipulata tra fornitore e concedente, attraverso la quale il secondo diventa proprietario del bene che darà in locazione all'utilizzatore da lui finanziato. Proprietà che, soprattutto nel leasing traslativo (ossia quello che, come esito finale, prevede il trasferimento di proprietà dal concedente all'utilizzatore) ha la fondamentale funzione di garanzia a favore del primo, rispetto ai canoni che ha il diritto di percepire dal secondo.

Nella grande normalità dei casi, è lo stesso utilizzatore/locatario a scegliere non solo il bene in tutte le sue caratteristiche, ma anche il fornitore, il quale ultimo è consapevole dei risvolti dell'operazione, ossia che la cosa viene acquistata dal concedente perchè questi la dia in godimento all'utilizzatore.

Non v'è dubbio, dunque, che la vicenda è trilatera, nel senso che coinvolge necessariamente tre soggetti; così come è indubbio che tra i due negozi v'è un indispensabile collegamento, siccome la fornitura è effettuata in funzione della successiva locazione del bene compravenduto e la locazione presuppone che il locatore si sia procurato il bene che darà in godimento al locatario.

Tuttavia, nessuno pone in discussione che i due atti mantengano la loro sostanziale autonomia, che l'utilizzatore sia terzo rispetto al contratto di fornitura ed, a sua volta, il fornitore sia terzo rispetto al contratto di locazione; laddove, invece, il concedente è l'unico, tra i tre, ad essere parte di entrambi gli atti.

In quest'ordine di idee, la sottrazione della vicenda dall'ambito del rapporto plurilaterale e la sua sussunzione in quello del contratto collegato fa sì che le parti possano gestire separatamente i distinti rapporti contrattuali, secondo le rispettive funzioni, assegnando rilevanza giuridica a quelle sole interdipendenze che realmente condizionano l'attuazione dell'operazione economica.

D'altronde, è la stessa prassi che ha preferito la strada del contratto collegato, tenuto conto che, per un verso, il contenuto del contratto di fornitura è di estrema rilevanza per l'utilizzatore nelle parti in cui si fissano le qualità e le caratteristiche del bene, le garanzie di conformità, gli obblighi di consegna, ma che, per altro verso, una serie di altri patti contenuti nel contratto di fornitura (si pensi, ad esempio, alle clausole relative al pagamento del prezzo) non generano interdipendenza e rimangono (o possono rimanere) estranee al regolamento contrattuale tra concedente ed utilizzatore.

La stessa Convenzione di Ottawa, della quale s'è già fatta menzione, descrive la vicenda economica come incorporante due distinti contratti rispettivamente richiamati nelle L. n. 259 del 1993, comma 1, lett. a) e b), pone al centro dell'operazione il concedente e lo individua in colui il quale stipula sia il contratto di fornitura, sulla base delle indicazioni dell'utilizzatore, sia il distinto contratto di leasing con l'utilizzatore, "dando a quest'ultimo il diritto di usare il bene contro pagamento dei canoni". Peraltro, la Convenzione non parifica in radice le figure del concedente e dell'utilizzatore nei loro rapporti verso il fornitore, bensì ricorre alla tecnica dell'assimilazione, stabilendo che "Gli obblighi del fornitore in base al contratto di fornitura potranno essere fatti valere anche dall'utilizzatore come se egli fosse parte di tale contratto e come se il bene gli dovesse essere fornito direttamente" (art. 10).

Così inquadrato, il contratto di leasing è un contratto meramente bilaterale stipulato tra concedente ed utilizzatore e collegato ad altro contratto bilaterale stipulato tra concedente e fornitore per l'acquisizione del bene oggetto del contratto a favore dell'utilizzatore.

Nella pratica, il collegamento si realizza mediante apposite clausole previste in ciascuno dei due contratti. In particolare, nel contratto di leasing, quelle clausole: obbligano il concedente ad acquistare il bene già individuato dall'utilizzatore e descritto nello stesso contratto (anche mediante esplicito riferimento al contenuto del contratto di fornitura, che l'utilizzatore dichiara di conoscere ed approvare); cedono all'utilizzatore diritti futuri, ma determinabili perchè derivanti al concedente dal contratto di fornitura; obbligano il concedente alla futura cessione di eventuali diritti nascenti da responsabilità del fornitore. Nel contratto di fornitura:

configurano l'utilizzatore (che nel contratto di leasing ha assunto tutti i rischi derivanti dalla fornitura oltre che dall'utilizzo del bene oggetto del contratto) quale beneficiario delle prestazioni inerenti alla produzione e messa a disposizione del bene, in conformità con le prescrizioni contrattuali e di legge già definite nel contratto di leasing. Così pure, nella pratica questo collegamento è talvolta ancor più esaltato attraverso la partecipazione dell'utilizzatore al contratto di fornitura. Soprattutto in area di leasing immobiliare il notaio usa costituire nel contratto di compravendita la "parte venditrice" (il fornitore), la "parte acquirente" (il concedente), nonchè l'altro soggetto che dichiara di intervenire nell'atto di compravendita in qualità di "utilizzatore" dell'immobile, oggetto del separato contratto di locazione finanziaria, ed al quale la parte venditrice, preso atto che l'acquisto viene effettuato dal concedente al solo fine di fargli utilizzare l'immobile, presta tutte le garanzie di legge, assumendo altresì nei suoi confronti le obbligazioni che - per legge o per convenzione - sono a suo carico in quanto parte venditrice. In siffatti contratti si aggiunge pure che:

per la suddetta ragione, l'utilizzatore (riconosciuta la corrispondenza dell'immobile a quello da lui autonomamente prescelto ed individuato) potrà rivolgersi direttamente ed autonomamente alla parte venditrice in ogni sede per qualsivoglia reclamo o pretesa, relativi all'immobile, previa comunicazione scritta alla parte acquirente; l'utilizzatore manleva la parte acquirente da qualsiasi conseguenza derivante da vizi, difetti, irregolarità, inidoneità all'uso, mancanza delle qualità all'uso, mancanza delle qualità relativi all'immobile, agli impianti, alle pertinenze ed agli accessori dello stesso, nonchè per eventuali mendacità, irregolarità od imprecisioni delle dichiarazioni rese dalla parte venditrice nell'atto (così testualmente s'esprimono le più comuni clausole inserite nei contratti di compravendita di beni immobili destinati al leasing).

E' proprio la presenza di siffatte clausole normalmente in uso nei moduli contrattuali che consente di configurare il contratto di fornitura alla stregua di un contratto produttivo di alcuni effetti obbligatori a favore del terzo utilizzatore, senza necessità di ipotizzare la presenza di un mandato implicito al contratto di leasing volto ad assicurare all'utilizzatore i diritti di azione riconosciuti dalla legge al mandante nel mandato senza rappresentanza (art. 1705 c.c., comma 2).

In questo senso, la pratica commerciale ha elaborato soluzioni idonee a conciliare le istanze di separazione funzionale e dei rischi, così da consentire la realizzazione dell'operazione economica attraverso il coordinamento che l'unitarietà di tale operazione e l'interdipendenza tra le prestazioni naturalmente generano.

Volendosi, invece, porre al cospetto di ipotesi in cui nessuna clausola contrattuale consenta all'utilizzatore la sperimentazione dell'azione risolutiva del contratto di fornitura, non può eludersi la regola base in tema di effetti del contratto, ossia quella in virtù della quale il contratto ha forza di legge tra le parti, non può essere sciolto che per mutuo consenso o per cause ammesse dalla legge e non produce effetto rispetto ai terzi che nei casi previsti dalla legge. E' la regola della c.d. relatività del contratto, consacrata nell'art. 1372 c.c., in forza della quale è, in via di principio, da escludersi che, in mancanza di diverso patto o di specifica disposizione normativa, colui che non è stato parte del contratto di fornitura (l'utilizzatore) possa agire perchè il contratto stesso sia risolto; incidendo in una res inter alios acta e sortendo, così, l'effetto di privare il concedente della proprietà del bene locato e, dunque, della garanzia riservatasi a fronte del pagamento dei canoni di locazione.

Questa regola, in specifiche ipotesi, è stata ritenuta derogata da un collegamento negoziale in senso tecnico, che impone la considerazione unitaria della fattispecie. Collegamento in senso tecnico per il quale è necessario che ricorra sia un requisito oggettivo, costituito dal nesso teleologico tra i negozi, volti alla regolamentazione degli interessi reciproci delle parti nell'ambito di una finalità pratica consistente in un assetto economico globale ed unitario, sia un requisito soggettivo, costituito dal comune intento pratico delle parti di volere non solo l'effetto tipico dei singoli negozi in concreto posti in essere, ma anche il coordinamento tra di essi per la realizzazione di un fine ulteriore, che ne trascende gli effetti tipici e che assume una propria autonomia anche dal punto di vista causale (il principio è consolidato e, tra le più recenti in tal senso, cfr. Cass. n. 11974/10).

Non è qui il caso di approfondire in astratto il tema del collegamento negoziale, tuttavia il quesito posto alle Sezioni Unite presuppone (nell'impostazione sia del ricorso, sia dell'ordinanza interlocutoria) che ci si interroghi se, nella specifica vicenda in trattazione, ricorra un'ipotesi di collegamento negoziale in senso tecnico, in virtù del quale la validità e l'invalidità di un contratto si rifletta sull'altro in forma di reciproca interdipendenza. Ossia produca, in estrema sintesi, gli effetti di cui al brocardo del simul stabunt simul cadent.

Orbene, sul punto occorre concordare con quell'autorevole dottrina la quale osserva che, dal punto di vista economico, l'operazione di leasing è sicuramente trilaterale, nel senso che i rapporti tra fornitore, concedente ed utilizzatore costituiscono un tutto unitario. Eppure, dal punto di vista giuridico, le cose stanno diversamente, siccome ci si trova al cospetto di due contratti (quello di compravendita e quello di locazione finanziaria) che, come s'è visto in precedenza, conservano la rispettiva distinzione, pur essendo tra loro legati da un nesso che difficilmente può essere considerato di collegamento negoziale in senso tecnico. Un collegamento tale, cioè, da comportare che la patologia di un contratto comporti la patologia anche dell'altro. E' pur vero che questi contratti sono legati da un nesso obiettivo (economico o teleologico), ma quel che manca, perchè possa ravvisarsi il collegamento tecnico, è il nesso soggettivo, ossia l'intenzione delle parti di collegare i vari negozi in uno scopo comune. Non si può dire, infatti, che il fornitore si determini alla vendita in funzione della circostanza che il bene verrà concesso in locazione dal compratore/concedente all'utilizzatore/locatario. Al contrario, il fornitore ha il mero interesse alla vendita del suo prodotto e la causa che regge il contratto da lui stipulato con il finanziatore/concedente è quella tipica del contratto di compravendita, ossia il trasferimento del bene in cambio del prezzo.

Tant'è che, nella fisiologica evoluzione dell'operazione, il fornitore, una volta consegnato il prodotto all'utilizzatore, esce di scena, essendo assolutamente disinteressato allo svolgersi dell'altra vicenda che concerne la locazione stipulata tra concedente ed utilizzatore. Le circostanze, dunque, che sia proprio l'utilizzatore a scegliere il fornitore, a trattare con lui ed a ricevere la consegna del bene e che il fornitore, a sua volta, sia consapevole che l'acquisto da parte del committente sia finalizzato alla locazione del bene in favore del terzo utilizzatore sono del tutto esterne rispetto alla struttura stessa dei contratti che si vanno a stipulare e non sono capaci di mutarne la causa di ciascuna.

Se è vero quanto finora osservato, è anche vero che lo stesso concedente, una volta determinatosi al finanziamento, è del tutto disinteressato rispetto alla scelta del bene e del fornitore effettuata dall'utilizzatore, posto che, qualunque essa sia, egli è garantito dalla proprietà del bene rispetto all'obbligo del pagamento del canone a carico dell'utilizzatore stesso.

A conferma di quanto finora argomentato soccorre (oltre la menzionata Convenzione di Ottawa) il quadro normativo delineato dal Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia (D.Lgs. n. 385 del 1993), il quale, nei contratti di credito collegati ed in ipotesi di inadempimento del fornitore, non consente all'utilizzatore/consumatore (soggetto sicuramente meritevole di maggior tutela rispetto all'imprenditore) di agire direttamente contro il fornitore per la risoluzione del contratto di fornitura, bensì gli consente di chiedere al concedente/finanziatore (dopo avere inutilmente costituito in mora il fornitore) di agire per la risoluzione del contratto di fornitura; richiesta che determina la sospensione del pagamento dei canoni (art. 125 quinquies, il quale dispone pure che la risoluzione del contratto di fornitura determina la risoluzione di diritto, senza penalità e oneri, del contratto di locazione finanziaria).

Per le ragioni finora esposte deve escludersi pure che l'utilizzatore possa autonomamente esercitare contro il fornitore l'azione di riduzione del prezzo che, quale rimedio sinallagmatico, andrebbe a modificare i termini dello scambio nel rapporto tra concedente e fornitore.

E' per tutte queste ragioni che le SU concordano con l'orientamento giurisprudenziale (la cui più approfondita analisi va rinvenuta nella già citata Cass. n. 17145/06) dal quale possono dedursi le due seguenti considerazioni:

Tra il contratto di leasing finanziario, concluso tra concedente ed utilizzatore, e quello di fornitura, concluso tra concedente e fornitore allo scopo (noto a quest'ultimo) di soddisfare l'interesse dell'utilizzatore ad acquisire la disponibilità della cosa, si verifica un'ipotesi di collegamento negoziale (nella pur persistente individualità propria di ciascun tipo negoziale) in forza del quale l'utilizzatore è legittimato a far valere la pretesa all'adempimento del contratto di fornitura, oltre che al risarcimento del danno conseguentemente sofferto. Invece, in mancanza di un'espressa previsione normativa al riguardo, l'utilizzatore può esercitare l'azione di risoluzione (o di riduzione del prezzo) del contratto di vendita tra il fornitore ed il concedente (cui esso è estraneo) solamente in presenza di specifica clausola contrattuale con la quale gli venga dal concedente trasferita la propria posizione sostanziale.

Il relativo accertamento, trattandosi di questione concernente non la legitimatio ad causarti bensì la titolarità attiva del rapporto, è rimesso al giudice del merito in relazione al singolo caso concreto.

8 - La tutela dell'utilizzatore.

Posto che il dibattito finora affrontato scaturisce dalla preoccupazione che l'utilizzatore, in assenza di clausole contrattuali che (come s'è detto) gli trasferiscano la posizione sostanziale del concedente rispetto ad ipotesi risolutive del contratto di fornitura (ipotesi che s'è verificata nella fattispecie in trattazione), rimanga sfornito di tutela, nell'inerzia del concedente, occorre affrontare anche questo tema.

C'è, dunque, da chiedersi quali siano i rimedi esperibili dall'utilizzatore in ipotesi di vizi della cosa (oggetto sia del contratto del leasing, sia di quello di fornitura) in una vicenda contrattuale che, nella prassi mercantile, tende ad affermare (come s'è visto) l'esonero del concedente da responsabilità per vizi della cosa ed il corrispondente obbligo dell'utilizzatore di accertare la conformità del bene in sede di consegna (eventualmente rifiutandolo). Ciò a garanzia della separazione tra rischio finanziario e rischio operativo che sottende la vicenda economica in questione, la quale vuole che l'esecuzione del piano di ammortamento del credito sia indipendente da qualsiasi contestazione concernente la qualità e la conformità della fornitura. Ciò significa che, in forza di queste clausole, l'utilizzatore non può sospendere il pagamento dei canoni, nè ottenere la risoluzione del contratto di locazione.

Trattandosi di discipline speciali, deve essere decisamente escluso che alla fattispecie possa farsi estensiva applicazione delle disposizioni contenute nella Convenzione di Ottawa, sul leasing finanziario internazionale, o nel TUB, a favore dell'utilizzatore/consumatore.

La giurisprudenza unanime (così come la dottrina) riconosce all'utilizzatore il diritto di agire verso il fornitore per il risarcimento del danno, nel quale sono tra l'altro compresi i canoni pagati al concedente in costanza di godimento del bene viziato. A tale ultimo riguardo la responsabilità risarcitoria può farsi risalire, in via generale, a quella da lesione del credito illecitamente commessa dal fornitore che è terzo rispetto al contratto di locazione.

Ma venendo più al fondo della questione, occorre distinguere l'ipotesi in cui i vizi siano immediatamente riconoscibili dall'utilizzatore da quella in cui gli stessi si manifestino successivamente alla consegna, tenendo soprattutto conto che il canone di buona fede agisce quale strumento integrativo dei contratti (art. 1375 c.c.). In questo caso, v'è l'obbligo dell'utilizzatore di informare il concedente circa ogni questione che sia per questo rilevante, così come v'è l'obbligo a carico del concedente di solidarietà e di protezione verso l'utilizzatore, al fine di evitare che questo subisca pregiudizi.

Il primo caso deve essere equiparato a quello della mancata consegna, sicchè il concedente, una volta informato del fatto che l'utilizzatore, verificati i vizi che rendono la cosa inidonea all'uso, ha rifiutato la consegna, ha l'obbligo di sospendere il pagamento del prezzo in favore del fornitore, per poi esercitare, se ricorrono i presupposti di gravità dell'inadempimento, l'azione di risoluzione del contratto di fornitura, alla quale necessariamente consegue la risoluzione del contratto di leasing. Diversamente, il concedente corrisponderebbe al fornitore il pagamento di un prezzo non dovuto che, come tale, non può essere posto a carico dell'utilizzatore.

Il secondo caso - quello dei vizi occulti o in mala fede taciuti dal fornitore ed emersi dopo l'accettazione verbalizzata da parte dell'utilizzatore - sicuramente consente all'utilizzatore di agire direttamente contro il fornitore per l'eliminazione dei vizi o la sostituzione della cosa. Ma, laddove ne ricorrano i presupposti, anche in questo caso il concedente, informato dall'utilizzatore dell'emersione dei vizi, ha, in forza del canone integrativo della buona fede, il dovere giuridico (non la facoltà) di agire verso il fornitore per la risoluzione del contratto di fornitura o per la riduzione del prezzo, con tutte le conseguenze giuridiche ed economiche riverberantesi sul collegato contratto di locazione.

In conclusione, si può affermare il principio in ragione del quale:

In tema di vizi della cosa concessa in locazione finanziaria che la rendano inidonea all'uso, occorre distinguere l'ipotesi in cui gli stessi siano emersi prima della consegna (rifiutata dall'utilizzatore) da quella in cui siano emersi successivamente alla stessa perchè nascosti o taciuti in mala fede dal fornitore. Il primo caso va assimilato a quello della mancata consegna, con la conseguenza che il concedente, in forza del principio di buona fede, una volta informato della rifiutata consegna, ha il dovere di sospendere il pagamento del prezzo in favore del fornitore e, ricorrendone i presupposti, di agire verso quest'ultimo per la risoluzione del contratto di fornitura o per la riduzione del prezzo.

Nel secondo caso, l'utilizzatore ha azione diretta verso il fornitore per l'eliminazione dei vizi o la sostituzione della cosa, mentre il concedente, una volta informato, ha i medesimi doveri di cui al precedente caso. In ogni ipotesi, l'utilizzatore può agire contro il fornitore per il risarcimento dei danni, compresa la restituzione della somma corrispondente ai canoni già eventualmente pagati al concedente.

9 - La causa in trattazione.

Come s'è visto in precedenza, nella causa in trattazione l'utilizzatrice S. & R. srl ha citato la fornitrice Car Diesel spa per la risoluzione del contratto di fornitura per mancanza nella cosa delle qualità promesse in contratto in subordine, per la riduzione del prezzo. La sentenza impugnata ha dichiarato l'attrice priva di "attiva legittimazione" ed ha così respinto le domande, ritenendo che l'eventuale esonero del proprietario/concedente da ogni responsabilità per vizi della cosa debba risultare da apposito patto, non avendo fonte normativa. La sentenza ha pure aggiunto che l'attrice non ha nemmeno prodotto in giudizio il contratto di locazione finanziaria, sì da provare l'esistenza di un menzionato patto.

Così decidendo la sentenza s'è adeguata ai principi di diritto sopra enunciati, con la conseguenza che il ricorso proposto dalla S. & R. deve essere respinto.

La complessità della questione, che ha richiesto l'intervento delle SU, impone l'intera compensazione tra le parti delle spese del giudizio di cassazione.


P.Q.M.


La Corte rigetta il ricorso e compensa interamente tra le parti le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, il 26 maggio 2015.

Depositato in Cancelleria il 5 ottobre 2015.