23 marzo 2007

Cass. civ. Sez. III, 22/03/2007, n. 6969

"Lo schema negoziale socialmente tipico del lease back presenta autonomia strutturale e funzionale, quale contratto di impresa, e caratteri peculiari, di natura soggettiva ed oggettiva, che non consentono di ritenere che esso integri, per sua natura e nel suo fisiologico operare, una fattispecie negoziale fraudolenta sanzionabile ai sensi degli artt. 1344 e 2744 c.c."

Svolgimento del processo

Con sentenza 2 maggio-25 novembre 2002 la Corte d'Appello di Ancona rigettava l'appello proposta dalla Cardine Leasing s.p.a, già Popolar Leasing S.p.A. avverso la decisione del Tribunale di Urbano 2-3 agosto 1999, che aveva, in accoglimento della domanda proposta dalla curatela del fallimento SIFFAL, dichiarato la nullità del contratto di vendita e di locazione finanziaria stipulato il 23 marzo 1994 avente ad oggetto un immobile in Urbino, e condannato la Popolar Leasing alla restituzione dell'immobile alla venditrice SIFFAL. Il primo giudice aveva ritenuto la interposizione fittizia della SIAC S.n.c. in tale operazione, ritenendo che il contratto di lease back (o locazione finanziaria di ritorno) della complessiva operazione negoziale posta in essere tra Popolar Leasing e SIFFAL. Questa operazione aveva di fatto realizzato lo scopo di garanzia perché posto in essere dalla SIFFAL in condizioni di debolezza economica, con un regolamento negoziale squilibrato a svantaggio di tale società, e quindi in violazione del patto commissorio di cui all'art. 2744 c.c. Il primo giudice aveva, tra l'altro, rilevato che la domanda di restituzione delle somme corrisposte da Popolar Leasing a SIFFAL avrebbe dovuto formare oggetto di apposita istanza di ammissione al passivo della SIFFAL. La sentenza del Tribunale era confermata dalla Corte d'Appello di Ancona, la quale aveva ritenuto la sussistenza di numerose prove di una adesione consapevole all'accordo simulatorio tra SIFFAR e Popolar Leasing e SIAC (nuova società creata con lo stesso oggetto già della SIFFAL).

La locazione finanziaria di ritorno o "lease back", sottolineava la Corte territoriale, è un contratto atipico che in tanto è meritevole di tutela, secondo l'ordinamento giuridico, in quanto trovi la sua causa unicamente in uno scopo di finanziamento dell'impresa che utilizzi la liquidità ricevuta in processi di potenziamento dei fattori produttivi.

Non è invece ravvisabile tale causa allorché lo schema contrattuale sia finalizzato esclusivamente allo scopo di fornire al venditore una provvista finanziaria destinata all'estinzione dei debiti di impresa.

Nel caso di specie, la disponibilità finanziaria ricavata dalla predetta operazione era stata utilizzata dalla venditrice per ripianare la propria posizione debitoria nei confronti della Banca Popolare Pescarese e Ravennate.

Lo stato di dissesto economico della SIFFAL era divenuto irreversibile nel giugno-luglio 1995 per la revoca simultanea di tutti gli affidamenti bancari.

I primi segni di tale dissesto erano comunque già ravvisabili nei due anni precedenti.

Avverso tale decisione San Paolo Leasint (società che ha incorporato Cardine Leasing già Popolar Leasing spa con tre motivi.

Resiste la curatela fallimentare con controricorso, illustrato da memoria.

Motivi della decisione

Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli articoli 2697 e 2729 del codice civile, omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in merito all'asseritamente intervenuta interposizione fittizia di persona (punto 2 della motivazione della sentenza impugnata).

La Curatela SIFFAL aveva sempre sostenuto che la vendita dell'immobile da SIFFAL alla Popolar Leasing spa e la contestuale concezione in locazione finanziaria del medesimo immobile alla SIAC snc avrebbe avuto l'unico scopo di coprire la intera esposizione debitoria di SIFAL nei confronti della Banca Popolare dell'Adriatico, titolare del 95% delle azioni della Popolar Leasing).

In realtà, la Banca Popolare dell'Adriatico aveva documentalmente dimostrato di aver revocato gli affidamenti già concessi a SIFFAL in data 30 giugno 1995, quindici mesi dopo il perfezionamento dell'operazione di cui sopra, avvenuta in data 23 marzo 1994.

Accogliendo, pertanto, la domanda principale della Curatela, il giudice di primo grado aveva fatto ricorso ad una serie di presunzioni ed indizi che non erano affatto decisivi, con evidente violazione del principio che pone a carico dell'attore l'onere della prova.

Con il secondo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli articoli 1344 e 2744 del codice civile nonché degli articoli 2697 e 2729 del codice civile ed omessa., insufficiente e contraddittoria motivazione in merito all'asserita illiceità dell'operazione del 23 marzo 1994.

La giurisprudenza di questa Corte ha individuato alcuni dati sintomatici ed obiettivi in presenza dei quali si può concludere per l'illiceità della operazione di lease back (debolezza economica della società venditrice, situazione creditoria preesistente o contestuale, sproporzione tra entità del prezzo e valore del bene alienato e comunque delle reciproche obbligazioni, mancanza di conformità delle condizioni del contratto di utilizzazione del bene rispetto a quelle usualmente praticate per un leasing, anche riguardo alla determinazione dei canoni e del prezzo di opzione).

Nel caso di specie, nessuno di tali elementi era possibile ravvisare con riferimento alla operazione posta in essere dalle parti.

La Corte di appello, così come il giudice di primo grado, si era limitato ad alcune affermazioni del tutto immotivate ("è notorio" "è quindi del tutto probabile").

Quanto al più importante dei dati sintomatici, vale a dire, alla sproporzione tra entità del prezzo e valore del bene alienato, la ricorrente osserva che la Curatela SIFFAL non aveva mai contestatola congruità del prezzo versato, con la conseguenza che tale circostanza doveva considerarsi del tutto pacifica.

Nel caso di specie non vi era eccesso, bensì un difetto di garanzia, considerato che il credito di Popolar Leasing in seguito alla risoluzione del contratto di leasing era pari a L. 285.950.000 oltre IVA ed interessi di mora convenzionali dal 28 novembre 1996. Non era, pertanto, sostenibile che l'operazione del 23 marzo 1994 fosse nulla per violazione dell'art. 2744 c.c. Con il terzo motivo di ricorso la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione di norme di diritto ed omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione anche in merito alla domanda subordinata formulata dalla società di leasing. La sentenza impugnata non aveva condannato la Curatela alla restituzione della somma versata a titolo di prezzo, in contrasto con la pronuncia di nullità del contratto.

Osserva il Collegio: i tre motivi da esaminare congiuntamente in quanto connessi tra di loro non sono fondati.

La giurisprudenza di questa Corte ha riconosciuto che il lease back si configura come operazione economica complessa, rispondente ad una specifica esigenza, caratteristica dell'attività imprenditoriale (o di lavoro autonomo), e cioè all'esigenza del venditore/utilizzatore, nel quadro di un determinato disegno economico di potenziamento dei fattori produttivi di natura finanziaria, di ottenere con immediatezza liquidità, mediante l'alienazione di un suo bene strumentale - e quindi, di norma, funzionale da un determinato assetto produttivo e pertanto non agevolmente collocabile sul mercato, conservando di questo l'uso, e con facoltà di riacquistarne la proprietà al termine del rapporto.

In questa prospettiva, lo schema negoziale socialmente tipico del lease back presenta autonomia strutturale e funzionale, quale contratto di impresa, e caratteri peculiari, di natura soggettiva ed oggettiva, che non consentono di ritenere che esso integri, per sua natura e nel suo fisiologico operare, una fattispecie negoziale fraudolenta sanzionabile ai sensi degli artt. 1344 e 2744 c.c. Questi princìpi, più volti riaffermati nella giurisprudenza di questa Corte, sono stati tenuti presenti dai giudici di appello, i quali hanno tuttavia rilevato come nel caso di specie fossero sussistenti numerose alterazioni dello schema negoziale tipico, idonee a denunciare che l'operazione di cui è causa non tendeva al perseguimento dell'assetto di interessi proprio del lease back, bensì al perseguimento di uno scopo di garanzia con caratteristiche integranti la realizzazione del risultato materiale vietato dall'art. 2744 c.c. (Cass. n. 10805 del 1995, 6663 del 1997, 12738 del 1998, 8742 del 2001, 13580 del 2004, 14903 del 2006).

Nel caso di specie, la Corte ha ritenuto che la prova della simulazione fosse stata raggiunta attraverso una serie di indizi fondati su circostanze preesistenti alla stipula del contratto, confermati da circostanze ad esso sopravvenute.

I giudici di appello hanno sottolineato che già nella decisione di primo grado erano indicate le circostanze sintomatiche della partecipazione consapevole all'accordo simulatorio della Popolar Leasing. I giudici di appello hanno rilevato che i soci della SIAC erano legati da stretti rapporti di parentela e di coniugio con l'amministratore SIFFAL, che la SIFFAL aveva continuato ad utilizzare l'immobile, ivi svolgendo la sua attività, sino al luglio 1995, cioè fino a quando ebbe a licenziare tutti i dipendenti ed a concedere in affitto alla SIAC i macchinari, alcuni dei quali concessi in leasing dalla Popolar Leasing. Tutte queste circostanze, riportate dal primo giudice e richiamate dai giudici di appello, confermavano l'esistenza di un accordo simulatorio cui avevano preso tutte e tre le parti: SIFFAL, SIAC e Popolar Leasing. Questa ultima, hanno concluso i giudici di appello, era da sempre a conoscenza della interposizione fittizia posta in essere dalle parti.

Secondo i giudici di appello, il complessivo quadro delineato poneva in luce un regolamento negoziale squilibrato, a tutto svantaggio della SIFFAL, rendendo manifesto che l'operazione economica stravolgeva la funzione tipica del lease back, mirando piuttosto a garantire, nella maniera più efficace possibile, il credito della spa Popolar Lesasing, derivante dal finanziamento accordato alla società in seguito fallita, che era già in difficoltà al tempo della stipula dei contratti per cui è causa.

La Corte territoriale ha individuato come primo indice della causa di garanzia lo stato di debolezza economica in cui versava la SIFFAL, al momento della stipulazione del contratto, sottolineando che tale debolezza era divenuta irreversibile nel giugno-luglio 1995, quando la Banca Popolare dell'Adriatico aveva revocato gli affidamenti.

I giudici di appello hanno osservato come, in assenza di eventi straordinari ed imprevedibili, atti a produrre nell'immediatezza una situazione di grave crisi nell'impresa, il dissesto economico finanziario conosce una gestazione lenta, a partire dall'insorgenza delle cause che lo determinano sino all'apparizione all'esterno dei suoi effetti più vistosi e conclamati.

In questa prospettiva, anche le osservazioni formulate dalla ricorrente in merito alla congruità del prezzo di vendita, rispetto al valore dell'immobile alienato, perdono ogni rilevanza, considerato che il prezzo ricevuto era stato per intero utilizzato per ripianare un debito con l'istituto di credito, proprietario della società di leasing. In buona sostanza, la complessa operazione era stata programmata e posta in essere proprio allo scopo di fornire al venditore la provvista finanziaria necessaria per l'estinzione dei debiti di impresa nei confronti di uno solo dei suoi creditori.

Quanto al terzo motivo di ricorso, i giudici di appello hanno rilevato che la società Popolar leasing nel corso del giudizio di primo grado non aveva avanzato una specifica domanda diretta ad ottenere la restituzione della somma versata a titolo di prezzo.

Sul punto nessuna osservazione è stata formulata dall'attuale ricorrente, la quale si limita a censurare la seconda argomentazione, pure contenuta nella sentenza impugnata, secondo la quale il credito alla restituzione di tale somma avrebbe potuto, semmai, essere fatto valere mediante insinuazione al passivo fallimentare.

Conclusivamente il ricorso deve essere rigettato, con la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la società ricorrente al pagamento delle spese che liquida in Euro 10.100,00 (diecimila/cento) di cui Euro 10.000,00 (diecimila/00) per onorari di avvocato, oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 21 febbraio 2007.